La formazione 2.0 dell'epoca post-pandemica è un concetto che proprio in questi mesi sta prendendo forma, sebbene non definitiva. L'attuale situazione - in divenire, fatta più dì incertezze che di altro - delineare regole ed emettere sentenze sulla scuola del prossimo anno scolastico è una sfida anche per gli addetti ai lavori.
A provare a tracciare un quadro è Pietro Pietrini, direttore della Scuola Imt Alti Studi di Lucca, che ha vissuto in prima persona questo periodo di mutamenti accademici e criticità decisionali, partecipando a numerosi incontri con altri rettori di università toscane e italiane.
Come sarà vivere l'università nei prossimi mesi, professore?
«La riapertura universitaria in presenza presenterebbe molteplici aspetti. Il primo è che nelle università italiane non ci sarebbero gli spazi per affrontarla: molti atenei non avevano abbastanza spazio già prima dell'emergenza Covid-19, figuriamoci con le misure di distanziamento. Inoltre, molti studenti vengono da città o regioni diverse, quindi riaprire in presenza fisica significherebbe avere cospicui trasferimenti interregionali. Quindi la riapertura in presenza è da escludersi. Si, se non Pietro Pietrini, direttore della Scuola Imt Alti Studi di Lucca altro quella totale. Una delle poche certezze è che la modalità prevalentemente da remoto si manterrà fino a inizio 2021. Alcuni useranno una formula mista, quindi con una percentuale di studenti in sede e una collegata a casa da remoto».
«Molti atenei non avevano abbastanza spazio già prima dell'emergenza»
Misura che avete già deciso di adottare nello specifico della Scuola IMT?
«Certo. Oltre alle numerose alle misure già prese finora (grazie, devo dirlo, al grande lavoro di squadra a cui tutti alla Scuola hanno contribuito), potenzieremo sicuramente la teledidattica: abbiamo già diverse piattaforme su cui lavorare e stiamo facendo acquisti di materiale digitale come lavagne grafiche, filtri per rumori. Cercheremo però di fare anche lezioni in presenza con un numero limitato di studenti. Riprenderà sicuramente l'attività sperimentale in laboratorio, che richiede attrezzature specifiche o esperimenti su volontari».
Quanto perderà la scuola, in termini generali, costretta in questa prolungata didattica a distanza?
«Beh, sicuramente una fetta importante dell'insegnamento-apprendimento. Quella relazione educativa che va oltre la mera trasmissione delle nozioni, data dal contatto personale tra docente e discente, oppure la modalità di interazione con i presenti che usa il linguaggio del corpo. Il docente non potrà più cogliere nello sguardo degli studenti quell'attimo di smarrimento per un concetto difficile, né chiedere conferma che è tutto chiaro con un cenno del capo».
E i lati positivi, invece, quali i vantaggi?
«Col telelavoro un'organizzazione e una fruizione del tempo diverse» sono? «Con la teledidattica le lezioni possono essere fruite da un numero di partecipanti potenzialmente illimitato, ci sono meno pendolarismo, meno traffico per le strade, meno inquinamento. E questo è un discorso che non vale solo per l'ambito scolastico. Potremmo dire che è una lezione importante che ci ha dato questo virus: con un'organizzazione sistematica si potrebbe incrementare una grande fetta dei lavori che oggi facciamo in presenza trasformandoli, parzialmente, in telelavoro. Si risparmierebbero ore e ore al mese, stanchezza, stress, code, ritardi, parcheggi, soldi, avremmo un'organizzazione e una fruizione del tempo totalmente diverse».
Intervista a cura di Maria Giulia Salvioni, da La nazione del 26.05.2020